Le Parole del Management - 35. Leadership LE PAROLE DEL MANAGEMENT
"Non puoi motivare le persone. Puoi solo creare un gioco che valga la pena giocare" Michael Gerber
Quali caratteristiche deve avere un leader per eccellere nell’odierno contesto competitivo?
Spesso si è sottolineata l’importanza per un leader di avere la capacità e il carisma di comunicare una visione e ispirare i membri del suo gruppo a seguirlo.
Negli ultimi decenni, il contesto nel quale operano le organizzazioni è radicalmente mutato. Da un mondo caratterizzato da una relativa stabilità, nel quale si poteva ottenere un sufficiente controllo della situazione grazie a una buona affidabilità delle previsioni, si è passati a un ambiente dominato da complessità crescente, incertezza strutturale, accelerazione del cambiamento e imprevedibilità cronica.
In questo scenario, il ruolo del leader non può più essere lo stesso di ieri. Non basta fissare obiettivi, predisporre processi e assicurare la disponibilità di risorse. La vera sfida è creare un’organizzazione che non solo resista all’impatto dei fattori di stress, ma che sappia rigenerarsi e crescere proprio grazie alle pressioni esterne. Questo richiede una nuova forma di leadership: una leadership che più che mai metta al centro le persone e il loro potenziale.
Un’organizzazione moderna non è una macchina da oliare, ma un organismo vivente che deve adattarsi, reagire e crescere. Così come un corpo umano diventa più forte quando viene stimolato correttamente, anche un’organizzazione prospera quando i suoi membri si sentono parte attiva, riconosciuta e valorizzata. Qui entra in gioco il leader: non come semplice gestore del presente, ma come promotore delle condizioni per il futuro.
I due compiti fondamentali del leader
Che cosa significa, concretamente, guidare un’organizzazione in un contesto simile? Significa concentrarsi su due compiti principali:
1. Vedere, comunicare, sviluppare e liberare il potenziale delle persone.
Uno degli assunti fondamentali della Theory of Constraints consiste nel fatto che le persone fanno del loro meglio (“People are Good”, le persone sono positive), sempre, anche quando si comportano in modo disfunzionale e apparentemente illogico (da un punto di vista esterno). Spetta al leader vedere il potenziale nascosto, comunicarlo, svilupparlo e liberarlo. In questo senso, il leader diventa il catalizzatore che trasforma risorse latenti in energia attiva.
Liberare il potenziale non significa motivare: vuol dire costruire un contesto in cui le persone abbiano la possibilità di esprimersi senza paura di sbagliare, dove il contributo individuale sia riconosciuto e messo in connessione con un obiettivo comune. Non si tratta di aggiungere energia dall’esterno, ma di rimuovere le barriere che impediscono all’energia interna di manifestarsi.
2. Causare il superamento dell’inerzia organizzativa.
Ogni organizzazione è naturalmente portata a ripetere ciò che già conosce, anche quando non le pratiche consuete non si rivelano più adeguate a permettere di affrontare nuove sfide. L’inerzia è la vera nemica: più silenziosa della resistenza al cambiamento, ma molto più potente.
L’inerzia ha un ruolo positivo nell’evoluzione di un’organizzazione, in quanto consente di consolidare e trasformare in standard di riferimento i processi e le procedure scelti per gestire in modo controllato. Poiché il leader deve garantire che le persone rispettino gli standard vigenti, al leader spetta anche il compito di favorire il cambiamento, quando se ne presenta la necessità.
Superare l’inerzia non significa agitare le acque in modo caotico. Il leader ha il compito di dare un senso di urgenza, creare allineamento ed evitare che le pratiche consolidate, che hanno permesso all’organizzazione di crescere e di avere successo, diventino trappole che ne ostacolano il progresso e possono metterne in pericolo la sopravvivenza.
Macchinista e giardiniere – Due metafore a confronto
Per lungo tempo si è pensato al leader come a un macchinista, che agisce sulle leve e i pulsanti di controllo della macchina organizzativa. Ma questa metafora è ormai obsoleta: le organizzazioni non sono macchine, e le persone non sono ingranaggi.
Una metafora più appropriata allo scenario attuale è quella del giardiniere. Il giardiniere sa che nel seme c’è un potenziale invisibile, ma reale. Quel seme può diventare una pianta rigogliosa, a patto che sia esposto a condizioni favorevoli: un terreno fertile, abbondanza di acqua, esposizione a una luce sufficiente e, in caso di necessità, alcune cure particolari (protezione dai parassiti, estirpazione degli infestanti nelle vicinanza, ecc.). Così deve fare il leader: creare le condizioni perché ogni persona possa esprimere al massimo il proprio potenziale. Non può “forzare” la crescita, ma può coltivarla.
Il passaggio dal macchinista al giardiniere non è solo un cambio di immagine, ma un ribaltamento di paradigma: dal controllo all’ispirazione, dall’imposizione alla creazione di contesto. Questo approccio richiede pazienza, capacità di ascolto e la disponibilità a svolgere un ruolo di supporto e di facilitazione, per favorire il successo della squadra anche a discapito della propria visibilità.
Affinché il leader possa esercitare il ruolo di facilitatore nel liberare il potenziale delle persone, è necessario innanzitutto che lui per primo creda nell’esistenza di questo potenziale.
Solo la convinzione che in ogni persona esista un potenziale (intelligenza, razionalità, passione, coraggio, determinazione, competenza, ecc.) da sviluppare e da liberare, a beneficio della persona e dell’organizzazione, può indurre il leader a svolgere il lavoro necessario per rilevarlo e renderlo visibile anche al diretto interessato. Infatti, si trova solo ciò che si cerca, e si cerca solo ciò che si ritiene esista.
È a partire da questa convinzione che il leader adotterà i comportamenti in grado di creare un contesto nel quale le persone desiderino sviluppare il proprio potenziale e metterlo in parte a disposizione dell’organizzazione: ascolto attivo, incoraggiamento, offerta di opportunità, eliminazione degli ostacoli, supporto in caso di errori e di fallimenti.
Conclusioni
Il salto di paradigma, che vede nelle persone non più un insieme limitato di risorse il cui utilizzo deve essere ottimizzato, ma un serbatoio di potenziali risposte alle sfide che un’organizzazione deve affrontare, comporta una profonda revisione del ruolo del leader. L’assunzione di responsabilità per lo svolgimento dei due compiti fondamentali (liberare il potenziale delle persone e favorire il superamento dell’inerzia) presuppone la rinuncia al controllo inteso come ingerenza diretta nelle attività dei collaboratori, e la focalizzazione sulla creazione di un ecosistema nel quale le persone, in piena libertà e autonomia, siano portate a fare la cosa giusta.
Questa focalizzazione sul contesto da creare anziché sui processi da gestire può apparire un’opzione rischiosa sia per il leader che per l’organizzazione. In realtà, questa scelta permette di liberarsi da una falsa illusione di controllo, basata su presupposti di stabilità e prevedibilità non più validi nel contesto attuale.
La vera leadership non lascia tracce nei report aziendali, ma nelle potenzialità sviluppate e liberate nelle persone con le quali il leader entra in relazione.