Quando Mollare ANTIFRAGILITÀ
"Quando scopri di cavalcare un cavallo morto, la strategia migliore è smontare"
(Antico proverbio attribuito agli indiani Dakota)
Immagina di vedere un pilota di Formula 1 che, per essere coerente con la strategia di gara pianificata il giorno prima, durante un Gran Premio sotto la pioggia continua a utilizzare pneumatici da asciutto mentre tutti i concorrenti si fermano ai box per montare gomme da bagnato. La perseveranza, in questo caso, non sarebbe giudicata come un’apprezzabile virtù. Eppure, nel mondo del business, assistiamo quotidianamente a questa dinamica: imprenditori e manager che persistono in direzioni divenute controproducenti, paralizzati dalla retorica del "non mollare mai".
Oggi, questo mito culturale viene progressivamente messo in discussione, per i pesanti riflessi negativi che può avere sia nel favorire il progresso personale che per il successo delle organizzazioni.
Annie Duke, nel suo libro “Quit. The Power of Knowing When to Walk Away”, propone un salto di paradigma audace e sorprendente: saper mollare non è segno di debolezza, ma una competenza strategica fondamentale.
Cerchiamo di capire perché.
Ogni decisione importante viene assunta in condizioni di incertezza, determinata principalmente da due fattori ineliminabili: 1) il mondo è intrinsecamente stocastico – è quasi sempre impossibile prevedere con precisione come andranno le cose – e 2) non disponiamo mai di tutte le informazioni necessarie nel momento in cui la decisione deve essere presa. Lo scenario che si manifesta con il passare del tempo ci fornisce nuove informazioni, che possono indurci a dover cambiare idea. L'opzione di mollare ci consente di rispondere a nuove condizioni emerse dopo che la decisione è stata assunta, evitandoci di rimanere vincolati a una decisione rivelatasi sbagliata.
È la consapevolezza di avere sempre a disposizione due opzioni – perseverare e mollare – a permetterci di assumere il rischio di una decisione importante, a patto di evitare decisioni il cui impatto può generare danni gravi e irreparabili (ad esempio, investire nel lancio di un nuovo prodotto/servizio, prosciugando interamente la liquidità e le linee di credito dell’impresa) e di avere il coraggio di usare, se necessario, l’opzione di mollare.
Perché è così difficile mollare
Ognuno di noi è condizionato nelle proprie decisioni da una ricerca di certezze, che ci spinge a perseverare nelle iniziative avviate, anche quando mostrano segnali negativi: solo perseverando, infatti, potremo sapere come andrà a finire, mentre abbandonando rimarrebbe sempre il dubbio che, insistendo, l'esito avrebbe potuto essere positivo.
L'avversione per le perdite amplifica questa difficoltà. Ogni progetto inizia in una condizione di perdita percepita, data dal divario tra la situazione di partenza e l'obiettivo da raggiungere. Questa condizione perdura fino a quando l'obiettivo non viene raggiunto. Mollare prima significherebbe accettare definitivamente una perdita e chiudere un conto mentale in negativo – un'opzione psicologicamente inaccettabile per molte persone.
La fallacia dei costi sommersi rappresenta un caso particolare dell'avversione per le perdite. Avendo già investito risorse significative (tempo, denaro, energie), continuiamo a investire anche quando i segnali indicano che il risultato desiderato è irraggiungibile. È lo stesso meccanismo che spinge un giocatore a rincorrere le perdite al casinò, innescando spesso una vera e propria “escalation of commitment”, dove si incrementa l’entità delle giocate nella speranza di recuperare il denaro perso inizialmente.
L'identificazione con ciò che facciamo costituisce probabilmente la trappola più insidiosa. Quando diciamo "sono un imprenditore", "sono un manager", "sono un innovatore", non stiamo solo descrivendo una professione, ma definendo la nostra identità. Un progetto nel quale ci siamo fortemente impegnati diventa un'estensione di noi stessi, e abbandonarlo non costituisce una semplice riallocazione di risorse, ma equivale a mettere in discussione il nostro valore personale.
Consideriamo quanto segue:
- i fattori indicati sopra esercitano una pressione alla quale è quasi impossibile resistere;
- l’opzione di abbandonare un progetto sul quale si è investito molto potrebbe, in alcune circostanze, rivelarsi la scelta migliore (rispetto al perseverare).
- Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia nel 2002 e uno dei massimi esperti di processi decisionali in condizioni di incertezza, ci ricorda che il momento peggiore per assumere una decisione difficile è quando ci siamo “dentro”.
Quali conclusioni possiamo trarre?
Se vogliamo che mollare rappresenti realmente un’opzione, è necessario creare a priori le condizioni affinché tale opzione sia esercitabile.
Rendere praticabile l’opzione di mollare: linee guida
Quando la posta in gioco è importante, l’impegno di risorse rilevante e c’è una probabilità significativa di registrare un esito negativo, è necessario definire a priori (prima di avviare il progetto o l’iniziativa) le situazioni che determineranno la decisione di rinunciare.
Per fissare i “criteri di disimpegno o abbandono” sono necessarie due cose: una condizione e una data o una quantità di risorse impiegate. Ad esempio: "Se non avrò ottenuto X entro Y settimane (o mesi, o anni), allora abbandonerò il progetto", oppure "Se non avrò raggiunto Z risultati dopo aver investito W risorse, lascerò perdere". Questo impegno preliminare, assunto in assenza di pressioni particolari, riduce l'influenza delle distorsioni cognitive alle quali siamo soggetti a progetto in corso.
La definizione dei criteri per abbandonare un progetto dovrebbe diventare parte del processo decisionale standard, da adottare per le decisioni strategiche destinate a generare un impatto significativo, condizionato in buona parte da fattori esterni che non possiamo controllare.
In pratica, questo si traduce nel richiedere che ogni proposta di progetto includa non solo i criteri di successo, ma anche i criteri di abbandono. È come equipaggiare ogni iniziativa con un canotto di salvataggio: si spera di non doverlo mai usare, ma averlo può salvare la vita.
Per favorire l’accettazione della possibilità di abbandonare un’iniziativa, senza pregiudicare la motivazione a perseguire con impegno gli obiettivi stabiliti, è necessario ridefinire il significato di rinuncia e di spreco.
Mollare o rinunciare, anziché come fallimento o sconfitta, deve essere pensato come una decisione strategica, che considera il cambiamento delle circostanze per consentire una riallocazione più efficace delle risorse.
Anche lo spreco deve essere classificato tale in prospettiva futura, non con una visione retrospettiva. Deve essere considerato uno spreco il tempo, il denaro e gli sforzi che non ci consentiranno di fare progressi verso i nostri obiettivi; al contrario, il tempo, il denaro e gli sforzi già impiegati, devono essere classificati come l’investimento che abbiamo dovuto sostenere per apprendere la lezione che la realtà ci sta impartendo.
Un utile elemento di supporto per fare in modo che l’abbandono di un progetto o di un’iniziativa diventi un’opzione praticabile consiste nel disporre di una prospettiva esterna, ossia di una figura indipendente, meno condizionata dall’investimento emotivo e dalla pressione sociale, capace di esaminare la situazione con logica e lucidità. Il suo punto di vista, se ascoltato con attenzione, può favorire una valutazione più oggettiva delle opzioni a disposizione, compresa quella di mollare.
Conclusioni
Nel 711 d.C. il condottiero berbero Tariq ibn Ziyad guidò un esercito attraverso lo stretto di Gibilterra per invadere la penisola iberica. Una volta sbarcato, secondo la tradizione, fece bruciare le navi per impedire la ritirata e far capire con chiarezza ai suoi uomini che rinunciare all’impresa non era un’opzione perseguibile.
Nell’attuale gestione delle organizzazioni, “bruciare le navi” equivale a privarsi deliberatamente dell’opzione di rinunciare a portare a termine un progetto avviato. Significa assumere che la determinazione e l’impegno delle persone coinvolte nel cambiamento siano sufficienti a conseguire qualsiasi obiettivo, indipendentemente dall’impatto di fattori esterni non controllabili. Ma questo assunto, in un contesto competitivo caratterizzato da incertezza, complessità e scarsità di risorse, si rivela del tutto privo di fondamento.
Mollare quando è il momento giusto è un atto di leadership, non di debolezza. È la capacità di leggere i segnali del cambiamento e di rispondere con agilità strategica, liberando risorse da iniziative destinate a non creare più valore per reinvestirle in opportunità più promettenti.