Non fai progressi? Forse ti stai ponendo la domanda sbagliata

Non fai progressi? Forse ti stai ponendo la domanda sbagliata


Prima di valutare se una risposta è esatta si deve valutare se la domanda è corretta.

Immanuel Kant

Quante volte ci capita, mentre cerchiamo di risolvere un problema complesso o di assumere una decisione destinata ad avere conseguenze significative su di noi o sulle nostre organizzazioni, di sentirci bloccati o di essere entrati in un vicolo cieco, dove ogni nostro sforzo sembra destinato a produrre risultati irrilevanti?

È molto probabile che, in casi simili, stiamo inconsapevolmente cercando di rispondere a una domanda sbagliata. La riformulazione della domanda costituisce un efficace metodo per sbloccare la situazione e aprire uno scenario ricco di nuove possibilità.

Non tutte le domande hanno lo stesso potere di stimolare un efficace processo di analisi, di scoperta, di crescita, che ci consenta di accrescere la nostra comprensione della realtà e favorisca il conseguimento dei nostri obiettivi.

Poiché le domande stimolano il nostro istintivo desiderio di cercare una risposta, esse possono essere classificate in base al loro impatto sul nostro modo di affrontare le sfide che si manifestano alla nostra attenzione. Alcune domande, che possiamo definire domande limitanti, ci inducono a percorrere sentieri che non ci consentono di fare progressi verso gli obiettivi che cerchiamo di perseguire. A queste si contrappongono le domande abilitanti, che modificando sostanzialmente la direzione della ricerca della risposta, aprono nuovi scenari e spesso rendono possibile ciò che in precedenza appariva irrealistico. A questa categoria appartengono le domande dirompenti, alle quali viene riservata molta attenzione nel campo dell’innovazione, in quanto favoriscono la comprensione di fenomeni sorprendenti e stimolano la creatività, aprendo nuove strade per la generazione di nuove opportunità non disponibili in precedenza.

Un paio di esempi, che illustrano il passaggio da domande limitanti a domande abilitanti, possono essere utili a chiarire questo concetto.

La base del processo decisionale: intuizione o razionalità?

Negli ultimi cinquanta anni si sono sviluppate due scuole di pensiero sul modo di condurre il processo decisionale in condizioni complesse e incerte. La prima, nota come naturalistic decision-making e che ha come massimo esponente Gary Klein, sostiene l’importanza e la validità dell’intuizione nel guidare il processo finalizzato a giungere a decisioni corrette. La seconda, nata dagli studi del premio Nobel Daniel Kahneman, si basa sul fatto che quando assumiamo decisioni in contesti complessi e incerti, il nostro cervello tende a seguire processi di pensiero semplificati (euristiche) che spesso danno luogo a errori sistematici (bias); pertanto, quando una decisione può avere conseguenze rilevanti, è opportuno seguire un lento e faticoso processo decisionale strutturato, anziché lasciarsi guidare da una rapida e accattivante intuizione.

Nel 2009 Kahneman e Klein hanno deciso di effettuare uno studio congiunto per confrontare le rispettive posizioni alla luce delle più recenti scoperte. Il principale risultato di tale iniziativa è stato  la riformulazione della domanda centrale: non “E’ meglio basare le decisioni sull’intuizione o su un processo decisionale strutturato?”, ma “Quando si può confidare sull’intuizione?”. La ricerca di una risposta a questa domanda, infatti, ha consentito di identificare due condizioni, la cui presenza concomitante rende possibile, e spesso conveniente, utilizzare l’intuizione come elemento primario sul quale basare una decisione:

  1. Essere in un contesto ad “alta validità”, cioè in una condizione nella quale le stesse cause generalmente tendono a produrre gli stessi effetti e nella quale i segnali di ciò che sta accadendo sono affidabili e inequivocabili.
  2. Possedere solida esperienza e competenza specifica, cioè avere avuto adeguate opportunità per apprendere nel contesto specifico, mediante una pratica prolungata e la possibilità di verificare in modo rapido e inequivocabile l’esito delle proprie decisioni e azioni.

Queste due condizioni si basano sull’assunto che l’intuizione non è altro che riconoscimento di situazioni già sperimentate e memorizzate, anche se non ancora entrate a far parte della piena consapevolezza.

La riformulazione della domanda centrale ha consentito di definire un semplice criterio per stabilire se possiamo confidare oppure no sulla risposta intuitiva a una determinata sfida. Se le due condizioni sono soddisfatte (ad esempio, nel caso dei vigili del fuoco, dei grandi maestri di scacchi e delle infermiere del pronto soccorso), si può ragionevolmente fidarsi dell’intuizione. In caso contrario (ad esempio, nell’ambito giudiziario o nel mercato azionario, contesti caratterizzati da complessità, ambiguità ed elevata imprevedibilità), è necessario seguire un processo decisionale razionale e strutturato, indipendentemente da quanto la nostra intuizione ci appaia valida e degna di fiducia.

La scelta strategica: qual è lo scenario futuro più probabile?

Quando un’impresa si appresta a definire una strategia che le permetta di conseguire i propri obiettivi, il principale problema che deve affrontare riguarda l’incertezza sugli scenari futuri nei quali dovrà operare. Non sorprende che le imprese investano ingenti risorse nell’acquisizione di sofisticati modelli previsionali e/o per avvalersi del parere di esperti in grado di fornire un quadro sufficientemente affidabile degli eventi futuri di particolare rilevanza per le scelte da effettuare.

Questo modo di procedere, che nasce dall’avversione per l’incertezza che caratterizza il modo di pensare e di agire della maggior parte dei manager, cerca di fornire una risposta a due domande, poste in sequenza:

Qual è lo scenario futuro più probabile?” e

Alla luce dello scenario più probabile, quale, tra le opzioni possibili, è la più conveniente per l’impresa?"

Purtroppo, questo approccio porta le imprese ad assumere, inconsapevolmente, rischi molto alti.

L’illusione di certezza, che ha origine dalla precisione con la quale vengono forniti i dati relativi alle previsioni, determina una sottovalutazione o una negazione del rischio associato al verificarsi di scenari diversi da quelli previsti o al manifestarsi di eventi imprevedibili di grande impatto.

Che cosa dovrebbe fare un’impresa per ridurre il rischio associato alle proprie scelte strategiche?

Risposta: riformulare la domanda fondamentale, considerando due elementi rilevanti:

  • È impossibile effettuare previsioni affidabili e precise riguardanti eventi futuri non completamente determinati da leggi di natura, come il sorgere del sole o le orbite dei pianeti.
  • Nella maggior parte dei contesti caratterizzati da complessità e incertezza, esiste un’asimmetria negli esiti associati a ognuna delle opzioni a disposizione, a seconda che si verifichi lo scenario più favorevole o quello più sfavorevole. Un’opzione potrà presentare benefici rilevanti in presenza di uno scenario favorevole e danni limitati qualora a manifestarsi sia lo scenario sfavorevole; un’altra opzione, al contrario, potrà causare danni devastanti in condizioni sfavorevoli e generare benefici modesti nel caso in cui si verifichino le condizioni più favorevoli. Sfruttare questa opzionalità asimmetrica significa selezionare opzioni in grado di generare benefici significativi qualora si manifesti lo scenario migliore e danni limitati qualora sia lo scenario peggiore a prendere forma.

Alla luce di queste considerazioni, la domanda fondamentale da porsi diventa:

Quale, tra le opzioni possibili, presenta la massima opzionalità asimmetrica favorevole per l’impresa?

Rispondere a questa domanda consente all’impresa di mettersi nelle condizioni di affrontare qualsiasi scenario (ragionevolmente) possibile, assumendo in piena consapevolezza rischi limitati e compatibili con le proprie caratteristiche.

Il processo di riformulazione della domanda

L’opportunità di riformulare la domanda nasce dalla rilevazione di una situazione di blocco, dalla quale appare difficile uscire mediante l’applicazione dei comuni metodi di problem solving.

Vediamo quale processo si può seguire per arrivare a formulare una domanda che permetta di fare progressi nella direzione desiderata.

Per chiarire le varie fasi del processo, si utilizzerà, a titolo di esempio, un tema di interesse primario in ogni impresa: il miglioramento delle prestazioni globali.

  1. Definire l’obiettivo. Il primo passo da seguire consiste nel definire che cosa si sta cercando di perseguire. Esempio: miglioramento delle prestazioni globali.
  2. Identificare e verbalizzare il problema. La presenza di un problema o di una situazione di blocco costituisce l’elemento da cui nasce l’esigenza di avviare il processo. Esempio: condizione caratterizzata da risultati inferiori alle aspettative, conflitti tra varie iniziative di miglioramento, dispersione delle risorse disponibili in iniziative a impatto modesto o nullo.
  3. Verbalizzare la domanda. Qualsiasi iniziativa può essere intesa come un modo per cercare di rispondere a una specifica domanda, che spesso non viene formulata in modo esplicito. Si tratta di risalire dalle iniziative in corso allo scopo per il quale sono state avviate e tradurre tale scopo in una domanda. Esempio: “Che cosa si può migliorare?”
  4. Verbalizzare gli assunti. Gli assunti costituiscono le ragioni a sostegno della correttezza della domanda, per favorire i progressi verso l’obiettivo fissato. Esempio: “Il miglioramento delle prestazioni globali è uguale alla somma dei miglioramenti delle prestazioni locali”; “Le parti di un’organizzazione possono essere gestite efficacemente come sottosistemi indipendenti”.
  5. Identificare gli assunti errati e i nuovi assunti validi. Questa fase presuppone una conoscenza approfondita del contesto nel quale si opera e l’assunzione di un punto di vista distaccato, che consenta di individuare gli assunti considerati corretti, ma in realtà non validi nelle condizioni reali in esame, e di evidenziare nuovi assunti validi. Esempio. Gli assunti (errati) rilevati nella fase precedente sono sostituiti dai seguenti: “Il miglioramento delle prestazioni globali è completamente diverso dalla somma dei miglioramenti delle prestazioni locali”; “Le parti di un’organizzazione sono interdipendenti e non possono essere gestite efficacemente come sottosistemi indipendenti”; “In qualsiasi momento, le prestazioni globali di un’organizzazione sono limitate da pochissimi fattori (spesso uno solo, il vincolo)”.
  6. Riformulare la domanda. La verbalizzazione dei nuovi assunti favorisce un cambiamento del quadro di riferimento e fornisce le basi per una riformulazione della domanda centrale. Esempio: “Che cosa limita le prestazioni globali dell’organizzazione?”.
  7. Rispondere alla nuova domanda. Esaminare le implicazioni derivanti dalla ricerca di una risposta alla nuova domanda, valutarne l’impatto e verificare il superamento del blocco o la risoluzione del problema. In caso contrario, ripetere le fasi 4-7. Esempio: focalizzazione delle iniziative sul fattore limitante, semplificazione della gestione, miglioramenti globali rapidi e significativi, utilizzo efficace delle risorse disponibili.
Il processo sinteticamente illustrato costituisce uno strumento per favorire il superamento dell’inerzia, ossia dell’incapacità di cambiare anche quando il cambiamento appare necessario e inevitabile. Sfruttando il potere stimolante delle domande, il processo permette, a chi lo applica con l’atteggiamento aperto e indagatore dello scienziato, di esplorare nuove strade per affrontare le sfide che si propongono alla nostra attenzione, quando i metodi tradizionali si dimostrano inefficaci.

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