Le Parole del Management - 29. Multitasking

Le Parole del Management - 29. Multitasking


“Concentrarsi su tutto è sinonimo di non concentrarsi su nulla.”

Dr. Eliyahu M. Goldratt

Negli anni ’90 era piuttosto frequente trovare la capacità di lavorare in multitasking tra le caratteristiche che un candidato doveva possedere per aspirare a una determinata posizione di lavoro. Con questo requisito si richiedeva che il candidato avesse l’abilità di svolgere più compiti simultaneamente, mantenendo un elevato standard di qualità in ognuna delle attività svolte.

In termini rigorosi, il multitasking nell’uomo non è possibile.

Il nostro cervello si è evoluto in modo da favorire la focalizzazione dell’attenzione su una cosa alla volta. Questo permetteva ai nostri antenati di portare a termine le cose importanti per la sopravvivenza (la caccia, la raccolta di cibo, la difesa contro le minacce alla sopravvivenza) e di essere distratti solo da eventi per i quali valeva la pena interrompere l’attività in corso.

Quando pensiamo di agire in multitasking, in realtà ciò che avviene nel nostro cervello è uno spostamento dell’attenzione da un’attività a un’altra (task switching), spesso molto rapido.

Possiamo pertanto definire il multitasking come lo spostamento dell’attenzione da un’attività ad alta priorità su un’altra attività a priorità inferiore, anche quando si potrebbero fare progressi su quella in corso.

Perché siamo indotti ad agire in multitasking?

All’origine della diffusa e istintiva tendenza a operare in multitasking ci sono alcune convinzioni che ci consentono di accettare e razionalizzare questo comportamento.

  1. L’ impatto (negativo) del multitasking è modesto. Nonostante spesso si intuisca che passare da un’attività a un’altra sia penalizzante sotto il profilo della produttività e dello stress, si ritiene che gli effetti negativi siano trascurabili a fronte dei benefici attesi.
  2. Prima si avvia un'attività, prima la si porta a termine. In realtà, questa convinzione è valida solo se si deve realizzare una sola attività.
  3. Il multitasking permette di fare progressi su più fronti simultaneamente. La pressione generata dalle numerose attività da completare ci induce a voler vedere rapidamente dei progressi in ognuna di esse. Il multitasking sembra fornire una risposta a questa esigenza. In realtà, la convinzione che questo sia il modo migliore per fare avanzare le attività è un’illusione: il multitasking genera un rallentamento di tutte le iniziative presidiate, se comparato alla modalità alternativa (portare a termine un’iniziativa alla volta).

A queste convinzioni si aggiunge una ragione legata al nostro desiderio di apparire disponibili e collaborativi. Dire NO a una richiesta destinata a impegnare il nostro tempo, quando siamo già indaffarati in un’altra attività, è considerato politicamente sconveniente: è più opportuno rispondere positivamente e aggiungere il nuovo impegno all’elenco delle cose che assorbiranno la nostra attenzione.

C’è poi una ragione di natura neurobiologica che ci spinge a passare freneticamente da un’attività a un’altra. La risposta allo stimolo che distrae la nostra attenzione dall’attività in corso per intraprenderne un’altra viene premiata con il rilascio di dopamina nella corteccia cerebrale. La gratificazione ricevuta induce a replicare il processo, per ricevere altre dosi di dopamina, creando un circolo di dipendenza che porta a essere sempre più distratti e inclini al multitasking.

Il costo neurobiologico del multitasking

Ogni spostamento dell’attenzione, tuttavia, ha un costo. Un costo molto elevato.

Quando passiamo da un compito a un altro o prestiamo attenzione a una fonte di distrazione, il nostro cervello si deve riconfigurare, per ricordare ciò che si stava pensando e facendo prima dell’interruzione e gli elementi rilevanti della nuova attività. Seppure questi processi avvengano in modo inconsapevole e rapido, essi determinano una significativa riduzione dell’efficacia e dell’efficienza nello svolgimento dei compiti e un enorme dispendio di energia: il consumo energetico richiesto dallo svolgimento delle attività in modalità multitasking è molto superiore a quello necessario per portare a termine le stesse attività in sequenza. Per questo motivo, cercare di fare progressi su più fronti contemporaneamente o trascorrere tempo in un ambiente pieno di fonti di distrazione determina un rapido esaurimento delle nostre energie, lasciandoci esausti e incapaci di rispondere in modo razionale a ulteriori situazioni che richiedono l’impiego delle nostre facoltà razionali.

Alla tempesta chimica generata dal multitasking si deve aggiungere un altro elemento: l’aumento della rilascio di cortisolo (l’ormone dello stress) e di adrenalina (l’ormone associato alla reazione lotta-o-fuggi). Oltre a generare le condizioni di disagio normalmente associate allo stress, l’aumento della concentrazione di questi ormoni mette in moto i meccanismi che preparano il corpo all’azione: incremento dell’afflusso di sangue ai muscoli, aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, riduzione dell’afflusso di sangue alle zone del cervello deputate alla concentrazione e alla riflessione profonda, non molto utili nelle situazioni in cui l’organismo deve prepararsi ad affrontare una minaccia reale o presunta. Riduzione della capacità di concentrazione e di memorizzazione, perdita di lucidità e parziale incapacità di controllare i propri impulsi, sono alcuni degli effetti dello squilibrio ormonale causato dal multitasking.

Gli effetti del multitasking

Negli ultimi due decenni si è progressivamente diffusa la convinzione che la pratica del multitasking possa pregiudicare parzialmente la qualità delle prestazioni e incidere negativamente sul tempo di completamento delle attività. Tuttavia, l’impatto viene spesso ritenuto modesto e accettabile, alla luce della presunta impossibilità di evitare tale pratica.

Gli studi condotti con metodo scientifico e le misure che ognuno può effettuare sul reale impatto del multitasking sulla propria attività o su quella della propria organizzazione, evidenziano uno scenario completamente inatteso: il multitasking produce effetti tanto devastanti da indurre a considerarlo il "nemico numero uno della produttività".

Vediamo una selezione di questi effetti.

  • Allungamento significativo del tempo impiegato per svolgere le attività. La necessità del cervello di riconfigurarsi ogni volta che si verifica uno spostamento dell’attenzione determina sia l’introduzione di tempi di set up tra le attività, sia l’allungamento dei tempi richiesti per lo svolgimento delle stesse, dato che anche a seguito della riconfigurazione il cervello mantiene un’inerzia che ne rallenta il funzionamento per un po’ di tempo.
  • Riduzione significativa della qualità. La riduzione delle capacità cognitive e lo sforzo di riconfigurazione del cervello causano un aumento della possibilità di commettere errori. La rilevazione e la correzione degli errori, quando avvengono, comportano un ulteriore prolungamento delle attività.
  • Aumento dell’impatto negativo all’aumentare dell’impegno cognitivo richiesto. Quanto più le attività richiedono un uso intenso della parte del cervello adibita alle funzioni cognitive e razionali, tanto maggiore risulta l’impatto negativo del multitasking. Mentre la perdita di produttività nel tentativo di svolgere simultaneamente poche attività semplici può essere modesta, agire in multitasking nelle attività di progettazione o nei processi manageriali può comportare un aumento del tempo richiesto dal 50% al 300%. A questo si aggiunge l’aumento della probabilità di commettere errori evitabili, che nei processi ad alto impegno cognitivo possono avere un impatto rilevante.
  • Aumento dell’impatto all’aumentare del numero delle attività svolte simultaneamente. L’impatto negativo del multitasking non è proporzionale al numero di attività tra le quali ci si sposta, ma tende ad assumere un andamento esponenziale al crescere di tale numero. Questo determina l’instaurazione di un circolo vizioso: il multitasking determina un allungamento dei tempi di completamento delle attività; se il tempo si allunga, aumenta la probabilità che altre attività si aggiungano all’elenco di quelle che assorbono la nostra attenzione; queste nuove attività contribuiranno ad alimentare il multitasking, prolungando ulteriormente i tempi di completamento.
  • Riduzione della capacità di memorizzazione. Pur non essendoci prove di una relazione causale tra multitasking e riduzione della memoria, è stata evidenziata una chiara correlazione tra un atteggiamento incline a passare continuamente da un’attività a un’altra e una diminuzione della capacità di ritenere concetti e dati. L’aumento della concentrazione di cortisolo nel sangue, determinato dal multitasking, potrebbe fornire una possibile spiegazione del fenomeno.
  • Aumento della predisposizione alla distrazione. L’osservazione che le persone più inclini al multitasking presentano un’elevata tendenza a cadere vittime di distrazioni può essere spiegata chiamando in causa sia il circolo di dipendenza dalla dopamina, sia l’ipervigilanza innescata dall’aumento del rilascio di cortisolo.

Sembra logico pensare che la semplice consapevolezza del reale impatto negativo del multitasking sia sufficiente a dissuadere le persone dall’adottare questo comportamento.

Tuttavia, il multitasking continua a essere un fenomeno diffuso sia a livello individuale che nella vita delle organizzazioni, dove esso viene considerato un male necessario, legittimato da politiche e regole alle quali l’individuo non può sottrarsi.

Che cosa fare?

I neuro scienziati sono concordi nell’affermare che le modalità di funzionamento del nostro cervello non hanno subito sostanziali modifiche negli ultimi quarantamila anni e non è ragionevole pensare che nel breve termine si adatteranno a un contesto profondamente cambiato e in continua evoluzione.

Che cosa possiamo fare, allora, per eliminare, o almeno limitare significativamente, gli effetti del multitasking?

Per affrontare il problema in modo efficace è necessario considerare che, a livello individuale, la ragione e la forza di volontà non sembrano costituire armi sufficienti a contrastare gli effetti della spinta chimica al multitasking, mentre nelle organizzazioni non basta sostituire le regole che impongono il multitasking con altre che raccomandano di lavorare su un’attività alla volta. Quando una persona ha la possibilità di passare da un’attività a un’altra, lo farà, indipendentemente dall’impegno profuso per evitarlo e dalle regole organizzative vigenti.

La soluzione, in teoria, è molto semplice: creare le condizioni al contorno nelle quali il multitasking sia impossibile, o almeno molto difficile. In altre parole, ritroviamo qui un approccio che abbiamo già introdotto a proposito della motivazione: agire sul contesto per cambiare abitudini e comportamenti.

Limitare sensibilmente l’esposizione alle fonti di distrazione, ridurre drasticamente il numero di attività aperte che una persona deve presidiare al lavoro, adottare procedure per sincronizzare le priorità, sono alcuni esempi di azioni a basso costo che possono avere un impatto straordinario sulla produttività e sul benessere delle persone.

In sintesi, per affrontare efficacemente la seduzione del multitasking occorre:

  1. acquisire la consapevolezza del reale danno arrecato dallo spostamento dell’attenzione da un’attività a un’altra,
  2. accettare l’inadeguatezza della forza di volontà e delle regole per favorire l’acquisizione di comportamenti virtuosi e
  3. creare un contesto che renda impossibile, o molto difficile, il comportamento indesiderato.

Solo in questo modo sarà possibile sfruttare al massimo le caratteristiche naturali del nostro cervello e apprezzare i benefici, sia nella sfera privata che in quella professionale, del portare a temine bene molte attività, una alla volta.

Ultimi post