Verso una “nuova normalità”? ANTIFRAGILITÀ
Il più grande pericolo, in tempi di turbolenza, non è la turbolenza in sé, ma agire con la logica di ieri.
Peter F. Drucker
L’avanzamento delle campagne vaccinali e la graduale ripresa di quasi tutte le attività economiche inducono a pensare che, almeno nell’emisfero nord del mondo, la parte peggiore della crisi sanitaria ed economica associata alla pandemia da Covid-19 sia superata e che ci si stia progressivamente avviando verso un periodo nel quale si potrà tornare a fare piani per il futuro. Per definire questo scenario, molti esperti ricorrono all’espressione “new normal”, intendendo un nuovo stato nel quale il mondo si troverà all’uscita dal tunnel dell’attuale crisi.
Ma si può davvero parlare di una “nuova normalità”?
In realtà, è sufficiente un esame dei cambiamenti in corso, alla luce delle minacce e delle opportunità che si sono manifestate negli ultimi decenni, per intravvedere scenari futuri tutt’altro che “normali”. I segnali di instabilità e di imprevedibilità possono essere colti in molti settori, a partire da quello sanitario, dove la minaccia di nuove pandemie sembra costituire la principale fonte di preoccupazione. Le tensioni sociali derivanti da un crescente squilibrio nella disponibilità delle risorse, il cambiamento climatico e, più in generale, le sfide ambientali, la competizione nel mercato globale, le minacce alla stabilità politica, l’impatto dirompente dello sviluppo tecnologico, la vulnerabilità del sistema finanziario, sono solo alcuni dei fattori la cui evoluzione imprevedibile può imprimere una svolta importante al corso degli eventi e avere un impatto determinante sulla vita delle organizzazioni in tutto il mondo.
Una crisi o una pandemia non sono altro che scenari estremi di una situazione generale di crescente instabilità e di incertezza cronica. Questa condizione è un dato di fatto, da considerare come una legge naturale, che non possiamo modificare con le nostre azioni, ma che dobbiamo accettare, al fine di tenerne conto nell’assumere decisioni importanti.
Decidere nell’era dell’incertezza e dell’instabilità
Dall’esame del modo con il quale sono state gestite le prime fasi della pandemia, emerge una diffusa carenza di competenze nell’assunzione di decisioni in condizioni di incertezza.
Quando non si dispone di tutte le informazioni necessarie e sufficienti per definire il quadro completo delle opzioni a disposizione, si è tentati di rinviare le decisioni, in quanto il trascorrere del tempo spesso consente di acquisire una quantità maggiore di elementi, che permettono di migliorare la qualità della decisione finale.
Tuttavia, procrastinare una decisione costituisce una tattica appropriata solo se sono soddisfatte due condizioni:
- il rinvio non causa danni rilevanti;
- l’attesa e l’acquisizione di ulteriori informazioni può incidere in modo determinante sulla natura della decisione.
Agli albori della pandemia, nessuna delle due condizioni era soddisfatta. La consapevolezza del carattere esponenziale della diffusione dell’epidemia avrebbe dovuto indurre a privilegiare la tempestività delle decisioni alla ricerca di informazioni aggiuntive e accurate. Inoltre, le informazioni già disponibili sulla contagiosità del coronavirus SARS-CoV-2 e sulla gravità dell’infezione provocata, unite alla conoscenza delle misure generali di contenimento di un’infezione che si trasmette mediante aerosol (igiene delle mani, distanziamento, uso delle mascherine), avrebbero dovuto permettere di adottare rapidamente iniziative in grado di contenere e minimizzare i danni.
Una generalizzazione di queste considerazioni può essere utile a prevenire inutili e dannosi ritardi nell’assunzione di decisioni in organizzazioni che operano in contesti dove la complessità e l’incertezza appaiono soverchianti. Se ci si pone alcune domande specifiche, quali “Qual è l’obiettivo che la mia organizzazione cerca di perseguire?”, “Qual è il fattore che impedisce all’organizzazione di conseguire il proprio obiettivo in misura maggiore?”, “Quali strategie e tattiche ho definito per conseguire l’obiettivo?”, emerge spesso che la maggior parte delle variabili in gioco non riveste una reale importanza e che le informazioni disponibili sono più che sufficienti per assumere una buona decisione.
La combinazione di complessità e incertezza rende vano e spesso dannoso l’impiego di algoritmi di ottimizzazione, che forniscono una falsa illusione di accuratezza e precisione dei risultati attesi. Tuttavia, proprio l’impossibilità di ricorrere a calcoli precisi e l’elevata probabilità di commettere errori deve indurre a seguire un processo decisionale strutturato, che tenga conto dei fattori oggettivi e soggettivi in gioco e della regola aurea nell’assunzione di decisioni:
- Assumere decisioni con asimmetria positiva. Nell’esame delle opzioni a disposizione, ricercare con assiduità le opzioni che presentano impatti estremi favorevoli, ossia importanti benefici nel caso in cui si verifichi lo scenario ragionevolmente più ottimistico, benefici modesti o danni limitati qualora si verifichi lo scenario più pessimistico.
- Evitare di assumere decisioni con asimmetria negativa, ossia decisioni che presentano impatti opposti a quelli associati a un’asimmetria positiva: benefici limitati in caso di esito positivo e danni importanti (o irreparabili) in caso di esito negativo.
La direzione da seguire
Come si può dunque operare in un contesto incerto, imprevedibile e instabile, senza venire travolti dal caos?
La condizione da ricercare ha una definizione precisa: stabilità.
A questo punto è opportuno un chiarimento, dato che la ricerca di stabilità in un contesto definito instabile sembra costituire un controsenso.
La stabilità da ricercare e da costruire non riguarda l’ambiente esterno, ma è una condizione interna delle organizzazioni, che le rende capaci di affrontare efficacemente le sfide ricorrenti e di migliorare continuamente il proprio stato a seguito dell’impatto di cambiamenti esterni spesso imprevedibili. Questa condizione è data dalla combinazione di fattori quali l’impegno, la propensione alla fiducia, la motivazione, la collaborazione, la flessibilità, la responsabilizzazione diffusa, la comunicazione, lo spirito d’iniziativa, la ricerca della soddisfazione di tutte le parti interessate nell’operato dell’organizzazione.
Una delle principali competenze richieste per costruire e alimentare la stabilità di un’organizzazione consiste nella capacità di assumere decisioni in grado di conciliare esigenze riferite a orizzonti temporali diversi. Questo non significa trovare un buon compromesso nel conflitto tra il perseguimento di risultati di breve termine e l’aspirazione a obiettivi di medio-lungo periodo. Significa piuttosto eliminare il conflitto, ossia elaborare strategie e tattiche efficaci per scale temporali multiple, selezionando, tra le tante possibili iniziative a effetto positivo immediato, quelle che possono costituire una solida base per un progresso verso gli obiettivi di lungo termine.
Un esempio può essere utile a chiarire il concetto. Un’organizzazione for profit può soddisfare l’esigenza di incrementare il profitto nel breve termine in due modi: 1) incrementando le vendite mediante la costruzione e la capitalizzazione di un vantaggio competitivo o 2) riducendo i costi. Mentre la prima opzione genera stabilità, creando le basi per un miglioramento continuativo delle prestazioni anche in presenza di oscillazioni della domanda di mercato, la seconda ha una potenzialità limitata e rischia di generare instabilità nel medio-lungo termine, soprattutto quando il taglio dei costi riguarda il fattore umano, in quanto può compromettere la capacità dell’organizzazione di reagire efficacemente alle sollecitazioni imprevedibili del contesto esterno.
La stabilità è ciò che distingue, in ogni settore, le organizzazioni che continuano a prosperare per periodi di tempo molto lunghi dai concorrenti che, negli stessi intervalli temporali, hanno registrato severe oscillazioni delle prestazioni o sono usciti di scena. Imprese come Toyota nel settore auto, Southwest Airlines nel settore dell’aviazione civile, Intel nel settore dei microprocessori, hanno visto il loro valore crescere significativamente per molti anni, traendo beneficio della stessa alternanza di condizioni favorevoli e sfavorevoli che ha danneggiato i concorrenti, talvolta in modo irreparabile.
Non sono gli eventi esterni, che non possiamo governare o anticipare, a determinare il destino delle nostre organizzazioni, ma quello che noi facciamo per prepararci all’impatto di ciò che non possiamo prevedere.
Questa è una buona notizia, in quanto ci restituisce il controllo sulla sopravvivenza e la prosperità delle nostre organizzazioni, dopo avere dovuto abbandonare l’illusione della certezza e della prevedibilità. Ma rappresenta anche una sfida difficile per coloro che hanno la responsabilità di promuovere e diffondere una cultura basata sulla continua ricerca di stabilità come condizione necessaria per l’adattamento e lo sfruttamento di scenari in perenne evoluzione.
Conclusioni
Non ci sarà nessuna “nuova normalità”.
Anche quando l’attuale emergenza sanitaria ed economica sarà rientrata, il contesto nel quale ci muoviamo continuerà a essere caratterizzato da complessità e incertezza, l’instabilità rimarrà un fattore cronico, i cambiamenti continueranno ad avvenire a un ritmo sempre più accelerato e il futuro resterà imprevedibile.
Questa situazione richiede uno spostamento dell’attenzione dall’efficienza di breve termine (utile in contesti stabili e prevedibili) alla stabilità, che consente di tutelare la salute delle organizzazioni in un orizzonte temporale breve, medio e lungo.
La parola chiave è “preparazione”. In un contesto incerto, instabile, complesso e in rapida evoluzione, per poter affrontare e superare momenti difficili è importante quello che si è fatto prima, ossia come ci si è preparati all’imprevedibile.