Perseverare nell’Errore – La Fallacia dei Costi Sommersi nelle Organizzazioni

Perseverare nell’Errore – La Fallacia dei Costi Sommersi nelle Organizzazioni


La cosa più importante da fare se ti trovi in una buca è smettere di scavare.

Warren Buffet

Vi è mai capitato di continuare a leggere un libro fino alla fine, nonostante lo giudichiate mediocre, solo per giustificare la spesa nel suo acquisto? O di restare seduti in una sala cinematografica per assistere alla proiezione dell’ultimo fotogramma di un film, giudicato scadente fin dalle prime battute, per la sola ragione di avere pagato il prezzo del biglietto? O di continuare a investire tempo e denaro in un progetto, il cui esito si sta dimostrando fallimentare, per il solo fatto di avere già investito un’ingente quantità di risorse?

Questi comportamenti sono il risultato della fallacia dei costi sommersi (dall’inglese sunk costs, costi affondati o irrecuperabili), un effetto che si manifesta quando si tende a insistere in un’attività una volta che è stato fatto un investimento in denaro, impegno e tempo, anche quando gli esiti appaiono chiaramente deludenti.

Ognuno può facilmente trovare casi di manifestazione di questo fenomeno in molti settori, pubblici e privati: dalla nostra decisione di recarci a teatro anche in precarie condizioni di salute solo perché abbiamo acquistato l’abbonamento all’intera stagione, all’insistenza del politico sull’utilizzo del denaro pubblico per portare a termine progetti evidentemente non più necessari, solo perché la loro interruzione significherebbe “avere sprecato il denaro dei contribuenti”.

Nelle organizzazioni, in generale, questa distorsione psicologica entra in gioco nel corso di progetti di miglioramento quando, dopo avere investito un’ingente quantità di risorse, si rileva con evidenza l’impossibilità di conseguire i risultati positivi attesi e, nonostante ciò, si continuano a impegnare nuove risorse. In questo modo non solo le nuove risorse andranno a incrementare il volume dello spreco, ma non potranno essere impiegate in altri progetti più promettenti, che potrebbero compensare le perdite registrate fino a quel momento.

La teoria economica classica e la fallacia dei costi sommersi

Dal punto di vista della teoria economica classica, che prevede che le persone effettuino investimenti in base a decisioni improntate a una ferrea razionalità, la fallacia dei costi sommersi non ha senso. Gli sforzi, il denaro e il tempo già dedicati a una particolare attività o a un particolare progetto, dovrebbero essere ignorati quando si tratta di assumere decisioni riguardanti il futuro impegno di risorse nell’attività o nel progetto. Solo i costi ancora da sostenere dovrebbero essere considerati e confrontati con i risultati ragionevolmente attesi nella situazione in esame, mentre i costi già sostenuti e irrecuperabili (con particolare riferimento al tempo e all’impegno), dovrebbero essere considerati irrilevanti.

Perché, allora, si continua a osservare questo fenomeno?

La spiegazione del fenomeno

La fallacia dei costi sommersi trova una spiegazione nella Teoria del Prospetto di D. Kahneman e A. Tversky, e in particolare nella trattazione relativa all’avversione alle perdite.

L’uomo è più sensibile alle perdite che ai guadagni. Questa differenza è stata misurata in numerosi esperimenti condotti da esperti di economia comportamentale: una perdita ha un peso emozionale circa doppio rispetto a un guadagno della stessa entità.

In termini evolutivi, l’avversione alle perdite trova una spiegazione nel ruolo che la sensibilità agli stimoli negativi ha avuto nel proteggere i nostri antenati in un ambiente ostile: solo i più attenti e pronti a reagire a tali stimoli hanno potuto sopravvivere e trasmettere il proprio patrimonio genetico e, con esso, l’avversione alle perdite che ci caratterizza.

L’interruzione di un’iniziativa fallimentare costituisce la ratifica di una perdita: con essa si accetta tacitamente di avere commesso un errore, le cui conseguenze sono costituite dall’istantanea trasformazione in spreco di ciò che avrebbe dovuto essere un investimento.

La comprensione del fenomeno dal punto di vista psicologico ed evolutivo dovrebbe consentirci di adottare comportamenti razionali. La consapevolezza dell’origine di questa pressione e della logica che governa le scelte razionali dovrebbe favorire la prevenzione del fenomeno, almeno nelle circostanze nelle quali le conseguenze possono essere rilevanti.

Ma le cose non stanno così.

Nelle organizzazioni, infatti, si registra un’altra causa del fenomeno, che ne favorisce la diffusione e sembra resistere a ogni tentativo di correzione su base razionale.

La fallacia dei costi sommersi nelle organizzazioni

Le organizzazioni operano in un contesto caratterizzato da complessità e incertezza, che si modifica a una velocità crescente. In queste condizioni, i manager devono assumere decisioni importanti, nella consapevolezza che una variazione imprevista delle condizioni potrebbe dare origine a risultati molto diversi dalle aspettative, soprattutto quando l’impatto delle decisioni è destinato a manifestarsi nel medio-lungo termine. Inoltre, in molte organizzazioni la qualità delle decisioni (e l’abilità del manager) viene valutata in base ai risultati, non tenendo conto della qualità del processo decisionale e delle condizioni esistenti nel momento in cui le decisioni sono state assunte.

Pertanto, quando un manager rileva i primi segnali del fallimento di un’iniziativa frutto di una sua decisione, si trova a dover affrontare un conflitto:

  • da un lato, potrebbe interrompere l’iniziativa, impedendo che nuove risorse dell’organizzazione vengano sprecate in aggiunta a quelle ormai irrecuperabili; in questo modo farebbe la scelta più razionale e professionale, ma si esporrebbe al biasimo pubblico per avere commesso un errore che ha sprecato le limitate risorse dell’organizzazione, con conseguente pregiudizio per la propria immagine e per la propria carriera;
  • dall’altro lato, potrebbe insistere nell’iniziativa, preferendo il rischio elevato di indurre l’organizzazione a impiegare ulteriori risorse, senza ottenere un ritorno dell’investimento, rispetto alla certezza relativa alla ratifica del danno associato alle risorse già impiegate. Questa scelta consentirebbe al manager di guadagnare tempo, nella speranza che il corso degli eventi futuri gli permetta di evitare di dover rispondere di una decisione rivelatasi errata.

È difficile biasimare un manager che, in presenza di questo conflitto, scelga la seconda opzione.

Il punto è che un’organizzazione non dovrebbe mai mettere i propri membri nelle condizioni di dover sacrificare la legittima tutela della propria integrità e della propria immagine per salvaguardare gli interessi dell’organizzazione.

Che cosa fare

In due precedenti articoli (Elogio del Fallimento e Cambiare la Cultura di un’Organizzazione: da Dove Cominciare?) ho evidenziato il fatto che:

  • Il fallimento costituisce un fenomeno naturale e atteso quando si opera in contesti caratterizzati dalla complessità e dall'incertezza. Pertanto, esso assume un ruolo fondamentale nel processo di apprendimento organizzativo.
  • Se si desidera indurre un cambiamento nei comportamenti è opportuno agire sul contesto piuttosto che sulle persone, “introducendo nuove regole, procedure e meccanismi operativi, in grado di favorire un progressivo cambiamento nel modo di pensare e di agire delle persone”.

Alla luce di queste considerazioni, si possono definire alcune linee guida che consentono di limitare i danni prodotti nelle organizzazioni dalla fallacia dei costi sommersi:

  1. Istituire una cultura organizzativa che premia la qualità del processo decisionale, non i risultati. È importante imparare a distinguere il giudizio sul processo decisionale dal giudizio sui risultati che le decisioni hanno generato. Il processo decisionale, a sua volta, deve essere giudicato tenendo conto delle informazioni disponibili al momento dell’assunzione delle decisioni.
  2. Evidenziare gli assunti in base ai quali si prendono decisioni sulle iniziative da avviare. Questo si rivelerà utile per verificare la bontà delle decisioni a seguito di mutamenti significativi del contesto.
  3. Assicurarsi che le iniziative siano intraprese (eseguire quanto pianificato). Molti progetti falliscono in fase esecutiva semplicemente perché le iniziative programmate non vengono realizzate in modo corretto e completo o non vengono realizzate affatto.
  4. Qualora i risultati deludano le attese, individuare quali assunti si sono rivelati errati. In questa fase può essere utile coinvolgere persone estranee alla decisione iniziale, che, non avendo alcun rapporto con essa, possono esprimere un giudizio più oggettivo e razionale sulla situazione e favorire l’adozione di misure correttive o l’eventuale decisione di interrompere l’iniziativa, bloccando l’erosione di risorse.
  5. Se necessario, riassegnare le responsabilità. Quando una persona è troppo coinvolta in un progetto per eseguire un’analisi oggettiva della situazione e delle prospettive future, può essere opportuno assegnare il progetto a un’altra persona. Quest’ultima potrà non essere più competente dell’altra, ma avrà il vantaggio di poter esaminare la situazione senza condizionamenti particolari.

Frasi del tipo “Abbiamo già investito molto in questo progetto…”, “Fermarci adesso significherebbe avere sprecato…”, “Abbiamo speso troppo per rinunciare…”, devono suonare come un campanello di allarme, che ci avverte della manifestazione della fallacia dei costi sommersi. La consapevolezza del fenomeno, però, non basta a prevenirlo: in assenza di interventi in grado di incidere sulla cultura organizzativa è probabile che le spinte emozionali e razionali che lo supportano continueranno a prevalere.

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