Le Parole del Management - 23. Priorità

Le Parole del Management - 23. Priorità


Tu devi decidere quali siano le tue principali priorità ed avere il coraggio - piacevolmente, sorridendo, senza scusarti - di dire 'no' ad altre cose.

Stephen R. Covey

“Non ho tempo”.

Quante volte ci capita di rispondere con questa frase a una richiesta di modificare i nostri programmi, riferiti alla sfera privata o professionale, per inserire un’attività nuova e imprevista?

In realtà, questa risposta non ha senso, dato che il tempo è un’entità che non possediamo e sul cui ritmo di scorrimento non abbiamo alcun potere di controllo. La risposta più corretta alla richiesta, anche se non sempre politicamente conveniente, sarebbe “Non posso (o non voglio), ho altre priorità”.

La necessità di assegnare delle priorità alle nostre attività nasce dalla semplice constatazione che la domanda che grava su di noi (di attenzione, di attività concrete, di denaro, ecc.) in un determinato intervallo di tempo in genere supera la nostra capacità di risposta nello stesso intervallo. Pertanto, per assicurare il miglior utilizzo possibile delle nostre risorse e prevenire il rischio di non dedicare un’attenzione sufficiente alle cose che contano realmente, siamo indotti a selezionare accuratamente le attività da svolgere e ad assegnare ad esse un ordine di priorità.

Ai fini di un’efficace gestione di un’organizzazione, il vero problema non consiste nel decidere se focalizzare o no l’utilizzo delle limitate risorse a disposizione (con particolare riferimento al tempo del management), ma su che cosa focalizzare tale utilizzo.

Apparentemente questo problema sembra avere una facile soluzione: è sufficiente chiedersi “Quali iniziative possono generare valore per l’organizzazione?” per individuare le aree nelle quali l’impiego delle risorse è destinato a produrre benefici.

Tuttavia, se si riflette attentamente sulle ramificazioni logiche di questo approccio, ci si rende conto che esso presenta alcune conseguenze negative significative:

  1. Il numero delle iniziative in grado di generare valore per un’organizzazione è pressoché infinito; pertanto è impossibile identificarle tutte ed è alquanto probabile che siano inconsapevolmente ignorate iniziative con un impatto potenziale importante.
  2. L’impatto globale di un’iniziativa particolare è spesso molto diverso da quello atteso. Le organizzazioni sono sistemi adattativi complessi, caratterizzati da parti che interagiscono tra loro per ottenere i risultati desiderati. Ogni iniziativa avviata in una particolare area produce effetti in altre aree, che a loro volta possono determinare ramificazioni in altre parti dell’organizzazione, avviando una rete di relazioni causali che possono portare a effetti finali molto diversi da quelli ipotizzati.
  3. È molto difficile valutare l’impatto combinato di varie iniziative sulle prestazioni globali di un’organizzazione. Le considerazioni effettuate al punto precedente permettono di affermare che la valutazione a priori dell’impatto globale di varie iniziative intraprese in aree che interagiscono tra loro risulta alquanto problematica, e l’assenza di tale valutazione può portare a spiacevoli sorprese.

C’è un modo per prevenire le conseguenze negative dell’approccio tradizionale alla definizione delle priorità in un’organizzazione. Esso consiste nell’adottare un approccio sistemico, che consiste nel definire chiaramente l’obiettivo globale da raggiungere e nel porsi le seguenti domande:

  • Che cosa limita le prestazioni globali dell'organizzazione e le impedisce di ottenere il proprio obiettivo in misura maggiore?
  • Qual é il modo più semplice, più rapido, a basso costo e a basso rischio, per ottenere molto di più, ora e in futuro?

Le risposte a queste domande possono portare all’identificazione di efficaci attività di gestione e all’assegnazione di un ordine corretto di priorità.

La selezione delle iniziative da realizzare, compatibile con le risorse e con il tempo a disposizione, e l’assegnazione di priorità, implica la rinuncia ad attività che possono generare valore per l’organizzazione.

Il Dr. Eliyahu M. Goldratt ha introdotto nella terminologia della Theory of Constraints la parola “chupchik”, utilizzata nello slang ebraico per descrivere un problema o una circostanza assolutamente irrilevante. Assegnare tempo e risorse a un chupchik significa occuparsi di attività marginali, aventi un impatto sulle prestazioni globali che rientra nel “rumore” del sistema: gli eventuali effetti positivi sono indistinguibili dagli effetti generati dalle normali fluttuazioni statistiche alle quali le prestazioni sono soggette.

La tentazione di occuparsi di chupchik nelle organizzazioni è molto forte, in quanto le persone sono esposte a una miriade di opportunità di miglioramento delle prestazioni, facili da realizzare e in grado di gratificare gli interessati con l’illusione di fare progressi. Tuttavia, il reale effetto consiste nel distrarre l’attenzione e le risorse dalle iniziative che possono generare un impatto positivo decisamente superiore.

La definizione di chiare priorità non allevia la tentazione di occuparsi di chupchik, ma almeno favorisce l’orientamento e mette in evidenza la responsabilità per eventuali scelte disallineate con le priorità.

Definire e seguire priorità corrette, chiare e condivise costituisce la chiave per un miglioramento continuo delle prestazioni. Poiché la scelta delle priorità sulle quali focalizzare l’impegno delle risorse può fare la differenza tra il successo e il fallimento di un’organizzazione, è opportuno che tale azione sia basata su una chiara diagnosi delle condizioni di partenza, sull’individuazione dei pochi fattori che determinano le prestazioni globali e su un processo decisionale che tenga conto della complessità e dell’incertezza.

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