"Se non riesci a raggiungere un obiettivo, fissa un obiettivo più sfidante..."

"Se non riesci a raggiungere un obiettivo, fissa un obiettivo più sfidante..."


"Se non riesci a raggiungere un obiettivo, fissa un obiettivo più sfidante.....". Ho sentito pronunciare questa frase in più di un'occasione dal Dr. Eli Goldratt, padre della Theory of Constraints, riferendosi a imprese che non riuscivano a conseguire gli obiettivi di crescita fissati. Per usare la metafora del salto in alto, la frase significa che se non riesco a superare l'asticella posta a una determinata altezza, il modo per conseguire l'obiettivo (superare l'asticella) consiste nell'alzare il livello dell'asticella.

La frase a prima vista appare priva di senso: se non si riesce a conseguire un obiettivo, nonostante le buone intenzioni e lo sforzo profuso, significa probabilmente che l'obiettivo era troppo ambizioso, cosa che un'analisi più accurata avrebbe evidenziato.

In realtà, a ben riflettere, la frase appare tutt'altro che un'insensata provocazione. Per capire il perché, vorrei raccontare una storia, riferita proprio al salto in alto.

Richard Fosbury era un ragazzo americano con la passione per l'atletica leggera e, in particolare, per il salto in alto. Tuttavia, essendo alto ed esile, aveva una struttura muscolare poco adatta alla disciplina scelta, dato che in quel periodo (metà degli anni '60) la tecnica di salto "ventrale" richiedeva una notevole potenza muscolare, in grado di portare tutto il corpo dell'atleta al di sopra dell'asticella.

Per diventare un campione di salto in alto, Richard (Dick per gli amici) avrebbe dovuto essere in grado di superare l'asticella posta a un livello decisamente superiore a quello che la sua struttura fisica gli permetteva. Questo avrebbe indotto molti a prendere atto della realtà e ad abbandonare i sogni di gloria. Ma non Dick.

Dick e il suo allenatore avevano focalizzato l'attenzione su un fatto, apparentemente insignificante: da alcuni anni nella disciplina del salto in alto era stato introdotto l'uso dei materassi di gomma piuma per attutire la caduta, al posto della sabbia, utilizzata in precedenza. Questo rendeva non più rilevante uno dei vantaggi della tecnica "ventrale", quello di permettere all'atleta di cadere in modo da non arrecarsi alcun danno. Da questa osservazione nacque l'idea di una nuova tecnica di salto, nella quale era richiesta solo la potenza muscolare delle gambe necessaria per superare l'asticella con la parte superiore del corpo. Era nato lo stile Fosbury o "dorsale". Dick, con il suo nuovo stile di salto, vinse le Olimpiadi di Città del Messico nel 1968, stabilendo il nuovo record olimpico con la misura di 2,24 m.

Torniamo al processo normalmente seguito dalle imprese per la definizione degli obiettivi. Esso parte dall'esame delle condizioni al contorno esistenti e da considerazioni sulla possibilità di colmare il divario tra la situazione attuale e quella desiderata futura mediante investimenti di risorse (tempo, denaro). In altri termini, l'assunto alla base di tale processo è che gli obiettivi siano raggiungibili semplicemente incrementando lo sforzo.

In realtà, l'incertezza del contesto, unita alla non linearità di molte relazioni causa-effetto, porta spesso a mancare il conseguimento degli obiettivi. Naturalmente, a posteriori si trovano sempre ottime giustificazioni, ma queste non cambiano il risultato: il fallimento resta tale.

Quando viene fissato un obiettivo che appare decisamente al di fuori della nostra portata, essendo chiaro che non potremo conseguirlo semplicemente incrementando l'impegno e l'investimento, ci troviamo di fronte a due alternative:

  • lamentarci, utilizzando tempo ed energie per giustificare a priori l'irrealizzabilità dell'obiettivo;
  • affrontare seriamente la sfida. Questo comporta l'adozione di un nuovo modo di pensare, capace di rimettere in discussione gli assunti alla base delle ragioni che sembrano rendere l'obiettivo irrealizzabile. E spesso comporta dei veri e propri salti di paradigma.

La seconda alternativa richiede coraggio, in quanto costringe ad abbandonare la "comfort zone" del nostro modo di pensare e di vedere le cose; quel modo di pensare che ci ha guidato nelle scelte finora effettuate e che è condiviso dalla maggior parte delle persone con le quali ci confrontiamo.

Tuttavia, il riesame degli assunti e dei paradigmi sui quali si basano le nostre analisi, se eseguito mediante un processo solido e rigoroso, ci può portare a guardare alla realtà in un modo che non sia distorto dalle nostre convinzioni, permettendoci di vedere ciò che prima non vedevamo, pur essendo sotto i nostri occhi (come il materasso di gomma piuma nel salto in alto), e di trarne conseguenze dal potenziale inimmaginabile.

Restano due problemi:

  1. Come si fissa un obiettivo che appaia irraggiungibile con le attuali condizioni al contorno, ma che nel contempo non sia un sogno senza alcun legame logico con la realtà, scoraggiando così dall'intraprendere qualsiasi iniziativa per perseguirlo?
  2. Come si può superare la naturale resistenza dei manager di fronte a obiettivi considerati irrealistici, quando i tradizionali sistemi di misurazione e di valutazione delle prestazioni tendono a premiare il rispetto degli impegni e, quindi, il raggiungimento degli obiettivi?

Alla prima domanda si può rispondere con una regola pratica, suggerita dallo stesso Dr. Goldratt: l'obiettivo deve essere fissato al livello minimo per il quale ci sia il consenso tra i manager che sia impossibile conseguirlo. È inoltre necessario che i manager dispongano di un'indicazione della direzione da seguire per colmare il divario tra la situazione attuale e l'obiettivo, al fine di impedire che prevalga lo scoraggiamento e la conseguente permanenza nella "comfort zone". Spesso è necessario un intervento esterno per fornire tale indicazione, dato che chi opera all'interno di un determinato contesto finisce per adottare, consapevolmente o inconsapevolmente, il modo di pensare comunemente accettato e diventa incapace di compiere autonomamente i necessari salti di paradigma.

La seconda domanda si inserisce nel dibattito sulla capacità dei sistemi di incentivazione di orientare i comportamenti e favorire il miglioramento continuo delle prestazioni. In generale, è opportuno evitare l'adozione di sistemi premianti legati al raggiungimento di un determinato obiettivo, al fine di impedire che:

  • un obiettivo molto ambizioso alimenti discussioni improduttive sulla sua equità e induca  demotivazione se considerato irraggiungibile;
  • un obiettivo facilmente raggiungibile, o che diviene tale grazie a mutamenti imprevisti del contesto, possa di fatto limitare la possibilità di conseguire risultati migliori.

Il punto di partenza consiste nell'accettare l'idea che l'eccezionale sia possibile: solo così si avrà la determinazione a cercare di perseguirlo.

Puntare a un obiettivo molto sfidante produce molti benefici anche nel caso in cui non venga raggiunto, perché il superamento dell'inerzia associata al modo tradizionale di operare e ai modelli di riferimento accettati aprirà la strada a nuove opportunità, prima invisibili.

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