Le Parole del Management - 20. Decisioni – Parte prima

Le Parole del Management - 20. Decisioni – Parte prima


Niente è più difficile, e quindi più prezioso, dell'essere in grado di decidere.

Napoleone Bonaparte

Ogni giorno assumiamo molte decisioni, alcune delle quali possono avere conseguenze rilevanti sul destino delle nostre organizzazioni. L’essenza dell’attività manageriale consiste nell’assumere decisioni e nel declinarle in iniziative concrete. Pertanto, la capacità di gestire un processo in grado di produrre buone decisioni costituisce una delle principali competenze richieste a un manager.

Se si accetta il fatto che la qualità delle decisioni influenzi in modo determinante le prestazioni di un’organizzazione, la constatazione dell’andamento altalenante dei risultati in molte organizzazioni ci induce a pensare che decidere costituisca un’attività particolarmente difficile, soggetta a molti possibili errori.

Perché è difficile assumere decisioni di alta qualità?

La risposta semplice a questa domanda è: perché, in qualsiasi circostanza, gli scenari che possono dare luogo a esiti negativi sono molto più numerosi degli scenari destinati a produrre il risultato desiderato. La scelta di una delle innumerevoli opzioni che porta a un esito diverso da quello atteso induce a classificare la decisione come un errore.

Tuttavia, questa semplice spiegazione non risulta utile a trovare soluzioni in grado di migliorare il processo decisionale. Per conseguire questo obiettivo è necessario comprendere a fondo le ragioni che possono indurre a commettere errori quando ci si accinge ad assumere una decisione e i motivi che spesso ci portano a ripetere errori già commessi.

In ogni processo decisionale entrano sempre in gioco due insiemi di fattori:

  • Fattori oggettivi, legati al contesto nel quale la decisione viene assunta e dovrà manifestare i propri effetti.
  • Fattori soggettivi, relativi ai processi che hanno luogo nella mente del decisore e che condizionano ogni fase del processo decisionale.
I fattori oggettivi nel processo decisionale

Le organizzazioni operano in un contesto caratterizzato da complessità, incertezza, variabilità, limitata disponibilità di risorse ed elevata velocità nella quale avvengono i cambiamenti rilevanti. Le iniziative finalizzate a ridurre l’impatto di questi fattori (suddivisione di problemi complessi in parti, allo scopo di ridurne la complessità, ignorando le interdipendenze tra le variabili in gioco; ricerca di un’elevata precisione nei dati relativi alle previsioni allo scopo di ridurre l’incertezza, ignorando la natura ineliminabile di quest’ultima; ecc.) spesso peggiorano il quadro di riferimento, in quanto, fornendo l’illusione di una semplificazione, inducono a sottovalutare la reale influenza che questi elementi hanno nel determinare lo sviluppo degli scenari futuri.

La presenza di questi fattori condiziona pesantemente non solo le opzioni a disposizione, ma anche la predisposizione stessa dei manager nei confronti delle decisioni da assumere. L’emergere di cambiamenti importanti nel contesto, per effetto dell’incertezza, tra il momento nel quale viene assunta una decisione e il momento nel quale gli esiti cominciano a manifestarsi, può modificare drasticamente il risultato, trasformando una decisione inizialmente corretta in un errore grave. La consapevolezza della comune tendenza a giudicare una decisione sulla base del risultato e della facilità con la quale è possibile ricostruire la logica che ha portato al risultato reale, grazie alla distorsione retrospettiva (inclinazione a pensare che un evento fosse prevedibile prima che si verificasse, avendo a disposizione le informazioni su come sono andate le cose), induce nei decisori un’elevata avversione al rischio, che spesso si traduce nelle seguenti posizioni:

  • assunzione di un atteggiamento conservativo, rinviando la decisione o mantenendo lo status quo anche quando un cambiamento sembra essere necessario, contando sulla minore visibilità degli errori di omissione rispetto agli errori di commissione;
  • scelta di opzioni standard o riconosciute come le migliori nel settore competitivo di riferimento. Questo comportamento, oltre a non garantire la correttezza della decisione nel contesto specifico, impedisce all’organizzazione di sfruttare l’occasione per differenziarsi e, possibilmente, acquisire un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza.

Una corretta considerazione dei fattori esterni deve partire dalla loro accettazione come elementi ineliminabili dal contesto reale. Solo così sarà possibile sviluppare un solido processo decisionale in grado di tenere conto del loro impatto sui possibili esiti.

I fattori soggettivi: che cosa succede nella mente del decisore

I tradizionali processi decisionali si basano su due assunti:

  1. le persone coinvolte nel processo dispongono delle informazioni necessarie e sufficienti per completarlo;
  2. nell’assumere decisioni, in particolare quando le scelte sono destinate ad avere conseguenze rilevanti, le persone si comportano in modo razionale. Ogni deviazione da questo comportamento può essere spiegato chiamando in causa le emozioni.

Le ricerche effettuate a partire dagli anni ‘70 sul funzionamento del cervello, sia nell’ambito della psicologia sperimentale che in quello delle neuroscienze, hanno contribuito a invalidare entrambi questi assunti.

Il Prof. Herbert A. Simon, premio Nobel per l’economia nel 1978, ha coniato l’espressione “razionalità limitata” per esprimere la condizione di chi è chiamato ad assumere una decisione importante in un contesto caratterizzato da complessità e incertezza. Pur cercando di agire in modo perfettamente razionale, quando assumiamo il ruolo di decisori ci troviamo spesso nella condizione di non disporre di tutte le informazioni rilevanti o delle conoscenze per predire gli effetti delle nostre decisioni. Inoltre, siamo anche limitati dalla nostra capacità cognitiva, incapace di elaborare correttamente anche le informazioni disponibili.

Ad esempio, la decisione di lanciare un nuovo prodotto sul mercato è legata a un’informazione che risponde a una domanda fondamentale: “Quale sarà la risposta del mercato?” A questa domanda si può rispondere solo effettuando una stima previsionale, che potrebbe essere largamente smentita, in senso positivo o negativo, dai successivi risultati reali.

Pertanto ci comportiamo come satisficer (satisfy + suffice): anziché ricercare e analizzare tutte le possibili alternative a disposizione per l’assunzione di una decisione ottimale, definiamo i criteri e le condizioni necessarie da soddisfare e cerchiamo un’opzione (sufficiente) che le soddisfi.

Il ricorso al concetto di razionalità limitata, tuttavia, non è sufficiente a spiegare perché nel processo decisionale anche le persone più brillanti tendono a uscire dal percorso razionale e a commettere errori in modo regolare e, in un certo senso, prevedibile.

Negli ultimi anni alcuni ricercatori (Keith E. Stanovich, Richard F. West, Daniel Kahneman) hanno proposto un modello di funzionamento delle facoltà cognitive che spiega questi comportamenti. In base a tale modello, possiamo immaginare che nel nostro cervello operino due “sistemi operativi”:

  • Sistema 1, responsabile della risposta intuitiva ed emozionale, che opera senza sforzo, in modo rapido e automatico, ossia senza bisogno di un controllo attento del suo funzionamento. È il sistema operante di default, molto utile nelle decisioni semplici o basate sull’esperienza.
  • Sistema 2, responsabile della risposta razionale, che richiede molto impegno ed energia, è lento, viene attivato solo mediante una scelta volontaria e tende a disattivarsi con facilità nel momento in cui l’attenzione viene distratta. È il sistema che viene chiamato in causa nei processi razionali, nelle nuove attività e nei calcoli complessi.

Nella maggior parte delle situazioni nelle quali si impone una decisione, il sistema 1 svolge un ruolo del tutto adeguato. Tuttavia, quando si deve assumere una decisione destinata ad avere conseguenze importanti e non si può fare ricorso all’esperienza generata da numerose situazioni simili, sarebbe opportuno attivare il sistema 2. L’osservazione delle situazioni reali mostra che tale attivazione non avviene in modo sistematico: le persone, nel condurre il processo decisionale, seguono una serie di strategie semplificative (euristiche), o regole pratiche, che costituiscono i meccanismi di adattamento al contesto complesso nel quale tale processo comunemente si svolge. Le euristiche, che possono essere seguite dal sistema 1, costituiscono in genere delle valide scorciatoie, ma il loro uso inconsapevole può dare luogo a distorsioni (biases), che sono tra le principali fonti di errori nel processo decisionale.

Conclusioni

La consapevolezza dell’esistenza e della natura dei fattori oggettivi e soggettivi che possono influenzare la qualità delle nostre decisioni, della natura delle euristiche alle quali ricorriamo per affrontare la complessità del contesto e delle possibili distorsioni che il loro utilizzo può determinare, costituisce il primo importante passo per la definizione di un processo decisionale che ci consenta di prevenire la maggior parte degli errori comuni, quando la posta in gioco è importante.

Restano aperte due domande fondamentali per chiunque abbia la responsabilità di assumere decisioni con importanti conseguenze:

  • Quali sono i criteri informativi che un processo decisionale deve soddisfare per generare decisioni di alta qualità?
  • Come deve essere strutturato un processo decisionale, in considerazione dei criteri da soddisfare e dei fattori oggettivi e soggettivi che possono condizionarne ogni fase?

(Continua)

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